IL BRAMINO DELL'ASSAM by Emilio Salgari

IL BRAMINO DELL'ASSAM by Emilio Salgari

autore:Emilio Salgari [Salgari, Emilio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: italiano, no cover, public domain, archivio italiano
pubblicato: 2012-02-07T11:14:16+00:00


CAPITOLO OTTAVO: FAME, SETE E PUGNI.

Quantunque la cesta dovesse essere un po’ pesante, specialmente colle bottiglie vuote ed i cocci Surama, la piccola rhani, come se avesse acquistata improvvisamente una forza straordinaria, pari quasi a quella dell'erculeo rajaputo, era tornata a scendere la scala, sempre colla medesima sicurezza di prima. Eppure non doveva vedere, poiché diversamente avrebbe facilmente scorto Kammamuri ed i suoi due compagni.

Per la terza volta ripassò fra gli aiutanti che strepitavano sempre più ferocemente, divorati più che altro dalla sete, poiché dei topi ne avevano cacciati non pochi dentro i loro sacchi spelati, e si fermò nuovamente all'estremità del materasso occupato dal prigioniero, dicendo: «Eccomi».

«Troppo tardi» disse il paria con voce cupa. «Io tutto ho veduto, anche rimanendo qui». «Bevi: vi sono delle bottiglie».

«Sono tutte vuote e quelle che erano piene sono state spezzate. Io vedo la birra scendere nel sotterraneo e non posso berla». «Hai dunque molta sete?»

«Mi pare di morire da un momento all'altro. Non resisto più al supplizio che m'ha imposto quello sciacallo di maharatto». «Và a bere quella che scende». «Non vedi, piccola rhani, che sono legato con catene d'acciaio?»

«Che cosa vuoi ancora da me? Io sono stanca. Non mi reggo più e mi pare di avere la testa vuota e piena di nebbia». «Tutto passerà se tu, Altezza, continuerai ad obbedirmi».

«Sono stanca!...» gemette Surama, abbandonando le braccia lungo il corpo. «Io non ho più forza». «Te ne darò io con un lampo dei miei occhi. Apri bene i tuoi e guardami fisso».

«No, ho paura!...» gridò Surama, agitando disperatamente le braccia. «Tu mi fai male». «No, voglio solamente che tu mi obbedisca, Altezza. Apri gli occhi!...»

La rhani si era invece coperta il viso colle piccole mani, coperte di ricchissimi anelli. Ansava, sudava come se una febbre improvvisa l'avesse assalita, o come se sopra la sua testa brillasse l'ardentissimo sole indiano. Pareva che da un momento all'altro dovesse cadere, però ciò non doveva succcedere poiché ormai la potente forza magnetica che il paria non cessava di trasmetterle, doveva darle nuove forze. Passò qualche minuto durante il quale la rhani continuò a oscillare ed a sudare copiosamente, così copiosamente anzi, che tutta la sua bella veste azzurra era rimasta macchiata di grosse gocce, poi abbassò le mani che le nascondevano il viso. «Giù!...» aveva detto semplicemente il paria. «Sono io il più forte».

Tosto un lampo fosforescente empì i suoi occhi, saettandolo contro la principessa ormai impotente a difendersi. «Avvicìnati» disse il malandrino, quando credette giunto il momento opportuno. «Non mi farai male?» «No, Altezza, sei troppo bella per farti soffrire, però devi obbedirmi».

Il paria, mezzo morente di sete, parlava con voce quasi ruggente: pareva parlare una belva piuttosto che un uomo. «Comanda» disse Surama. «Spezza le catene che mi tengono avvinto». «Non sarò mai capace».

«Possiedi la forza d'una giovane tigre, Altezza. Te lo dico io: te lo comando. È vero che ti senti più forte?»

«Sì, ma la mia testa è sempre vuota ed i miei occhi non vedono. Sono come abbacinati».

«Non dire sciocchezze, piccola rhani, ed avvicìnati di più a me e tenta di rompere queste maledette catene».



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